Proposte sparse sulla scuola
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Proposte sparse sulla scuola

Proposte sparse sulla scuola

di Francesco Rocchi.

Ricominciamo a parlare di scuola, senza perdere troppo tempo e lanciando subito qualche sfida chiara al governo. Ci sono dei problemi che vanno risolti, e spesso sono problemi antichi. La lunga teoria di riforme mancate o depotenziate può indurre al pessimismo, ma c’è poco da fare: come dimostra la recente inchiesta  (link) de L’Espresso, se una società vuole crescere, non esiste sostituto ad una scuola efficiente, e la nostra non lo è. Qui di seguito propongo una serie di spunti di riflessione senza ordine o pretesa di completezza particolari. Tanto per scaldare i motori.

1) L’Assunzione dei docenti. Dalla nascita della Repubblica non è di fatto mai esistito un sistema regolare e rodato di assunzione degli insegnanti: in 70 anni abbiamo visto concorsi saltuari con graduatorie inesauribili, graduatorie permanenti intasate, ope legis a profusione e tassi di precariato stellari. I governi Renzi e Gentiloni sono arrivati ad un filo dal risolvere questo problema, sia pure in maniera complicata e barocca, ma ora il nuovo governo si sta rimangiando tutto. Dopo numerosi concorsi che hanno portato una ventata di serietà, la scuola sta di nuovo assumendo praticamente a casaccio (soprattutto nel caso della primaria).
Il punto dolente è che l’assunzione degli insegnanti è un’incombenza del ministero centrale, che si occupa da solo di tutte le 8.000 scuole italiane. Se le scuole fossero autonome e la gestione del personale decentrata, questo aspetto fondamentale della scuola sarebbe sottratto alla volubilità della politica nazionale, che ora invece ne è signora e padrona e ne fa merce di scambio per consenso elettorale.
E’ un punto che nessuno affronta mai, ma che un tempo sarebbe stato nelle corde, se non altro, del federalismo leghista, ormai morto e sepolto. Come per altri aspetti della gestione scolastica, è possibile che i comuni, se non le singole scuole, siano l’autorità locale più adatta a curare questo aspetto gestionale, lasciando al ministero soltanto il controllo della qualità e della regolarità delle assunzioni, e la cornice economica.

2) Il problema delle supplenze e delle cattedre scoperte. Senza andare a prendere grandi discorsi astratti, varrà la pena di notare che la scuola italiana soffre una grande perdita di efficienza a causa delle “cattedre scoperte” e delle supplenze in generale. Come sa ogni studente italiano, ogni ora di supplenza è perduta, o quasi. I supplenti “brevi”, cioé di qualche mese, sono degli stranieri in terra straniera che raramente possono incidere, quelli occasionali per singole ore o giornate sono semplicemente scelti a casaccio e non hanno la benché minima idea di chi abbiano di fronte.
Tutto questo dovrebbe cambiare, e gli strumenti necessari sono, almeno in parte, già a disposizione. Se in ogni classe i programmi di ogni materia venissero condivisi in sede di dipartimento, discussi e analizzati regolarmente, con tanto di calendario e attività didattiche predisposte con congruo anticipo, ogni insegnante del dipartimento potrebbe sostituire un collega senza che l’andamento del lavoro ne risentisse.
Sarebbe un cambiamento quasi copernicano, che andrebbe ben oltre la questione delle supplenze. Sarebbe un lavoro davvero collegiale, condiviso, democratico, e che ora manca quasi del tutto. E che semplificherebbe grandemente la vita sia dei docenti, sia degli studenti.

3) Lo stato dell’edilizia scolastica. E’ ancora pietoso, nonostante la buona volontà dei governi Renzi e Gentiloni. Anche qui, non credo che il problema sia semplicemente quello di stanziare più fondi (che ci vogliono assolutamente): il problema è capire a chi farli gestire. Oggi l’edilizia scolastica è in mano alla Provincia. Non va bene: se una scuola, che so, di Civitavecchia deve sostituire la maniglia di una porta, deve inoltrare il problema a Roma e aspettare che qualcuno venga inviato a fare la riparazione. Stupisce che le scuole italiane siano cadenti? Se tutto questo, come per le scuole primarie, fosse affidato ai comuni, il controllo e la pressione dei cittadini elettori, diretti fruitori delle scuole, sarebbe un ottimo incentivo per i sindaci a occuparsi delle scuole, gli investimenti sulle quali portano risultati sono (buona) merce elettorale immediatamente spendibile. Le scuole italiane sono sostanzialmente prive del minimo decoro e rendono avvilente la vita di chi ci deve studiare o lavorare. Basta, per cortesia.

4) Lo stipendio degli insegnanti. Gli insegnanti italiani sono notoriamente sottopagati, e se non si risolve questo problema, i laureati più brillanti difficilmente si accosteranno a questo mestiere, che ad oggi praticamente non conosce altra carriera che quella degli scatti di anzianità. Serve un middle management (link)in cui gli insegnanti più preparati ed entusiasti possano dispiegare le loro capacità progettuali ed organizzative, ad esempio coordinando le attività cui abbiamo accennato al punto 2). L’aumento dello stipendio sarebbe bene fosse però generalizzato. C’è solo un modo per ottenerne uno senza aggravio per le casse dello Stato: aumentare il monte ore settimanale dei singoli docenti, e proporzionalmente lo stipendio. E’ vero che per alcuni docenti, quelli che hanno molte classi, la cosa potrebbe farsi pesante, ma in una scuola efficiente gli insegnanti vengono impiegati anche in attività diverse dalla pura didattica d’aula: gestione di laboratori e biblioteche, compresenze, attività con gli stranieri, recuperi. Senza contare che con una didattica condivisa quale quella del punto 2), la fatica della preparazione e della programmazione sarebbe assai più lieve (perché condivisa).
In tal modo l’attrattività di questo lavoro sarebbe ben differente, così come gli stipendi. Ovviamente questo rallenterebbe le nuove immissioni in ruolo, ma la scuola non è un ammortizzatore sociale. Nota bene: l’alta conflittualità tra docenti e discenti è dovuta anche alla solitudine del docente nella classe: le compresenze, se aumentate e diffuse, sarebbero un balsamo assai gradito da tutti.

5) La rozzezza delle bocciature totali. Una fonte di disagio e di abbandono, forse la principale, è la bocciatura: chi viene bocciato perde motivazione, non recupera, ed alla fine è più probabile che abbandoni. Per questo la bocciatura, così come è, va rivista. D’altronde, che sistema è quello che per le insufficienze in due o tre materie, ti costringe a ristudiarle tutte, anche quelle in cui andavi bene? La bocciatura generica è ansiogena, umiliante, rozza e priva di qualsiasi efficacia. Meglio far ripetere l’anno solo nelle materie in cui uno studente è effettivamente insufficiente, e lasciare che progredisca nel resto. Così gli studenti eviteranno di tenere atteggiamenti opportunistici (con assurdi calcoli su medie, voti, interrogazioni da dare, ecc.), e i docenti di dover fare acrobazie valutative in sede di scrutinio.

6) La formazione degli adulti. L’apprendimento e l’aggiornamento continui sono una necessità imprescindibile. In Italia facciamo ancora troppo poco e per un laovratore riqualificarsi oggi è troppo, troppo difficile. L’istruzione italiana si deve far carico anche di questo.

7) L’Alternanza Scuola Lavoro. L’alternanza scuola lavoro, una volta resa obbligatoria, ha forse creato più problemi di quanti ne abbia risolti. Però rimane il fatto che la scuola deve saper offrire una strada per entrare nel mondo del lavoro. La mia ipotesi è che gli studenti italiani abbiano un’idea nebulosa ed insufficiente del vasto mondo del lavoro: non sanno quali mestieri ci siano là fuori e cosa sia necessario fare per intraprenderli. La scuola deve farglielo scoprire. Non è detto che sia lo stage lo strumento migliore per ottenere questa panoramica: audit, conferenze, fiere, visite (cose che peraltro vengono già fatte rientrare, in qualche modo, nell’alternanza) sarebbero ben più utili. In questo però la scuola deve essere aiutata dai datori di lavoro, che devono essere più trasparenti e attuare modalità di assunzione più moderne della vecchia rete di conoscenze amicali. Non servirebbe un monte ore obbligatorio.

8) La burocrazia. I docenti dovrebbero esserne risparmiati il più possibile. Ne sono invece oberati. Tra le varie cause dell’invadenza burocratica (non è un problema di certo solo della scuola) c’è il fatto che l’unico modo a disposizione del ministero per sapere cosa stiano facendo gli insegnanti è fargli compilare carte e moduli. Questo è il caso della didattica per i bisogni educativi speciali e i disturbi specifici dell’apprendimento (BES e DSA): una didattica personalizzata è un diritto degli studenti e per garantirla si devono stilare dei piani didattici personalizzati (PDP), controfirmati anche dalle famiglie. Come è possibile sapere se davvero l’insegnante ha realizzato quei PDP? In realtà, non c’è modo di saperlo: finché le carte ci sono, tutto bene. E gli insegnanti ci stanno attenti, per evitare ricorsi. In tale strano e tortuoso modo l’attenzione degli insegnanti è fatta slittare dall’insegnamento alla compilazione burocratica. Vogliamo trovare un sistema più snello in cui non c’è bisogno di far compilare scartafacci, ma di BES e DSA ci si occupa per davvero?
Lo stesso discorso si può estendere praticamente a qualsiasi campo dell’attività didattica, in particolare per l’aggiornamento dei docenti, in cui i miglioramenti, con la piattaforma Sofia, sono stati vistosi, ma l’attività in sé rimane spesso un semplice adempimento (dovuto anche al fatto che la scuola italiana è così rigida e sottofinanziata che a volte diventa difficile applicare le innovazioni apprese in sede di formazione).

9) Le lingue straniere. Vengono insegnate e studiate con gran dispendio di energie, ma i risultati, ad oggi, sono modesti. Sarà forse il caso di cambiare qualcosa, anzi, quasi tutto: le lingue straniere dovrebbero essere insegnate nel pomeriggio e per gruppi di livello, non per classi (troppo grandi e troppo disomogenee), e con insegnanti madrelingua ovunque possibile.

10) La dirigenza. Essere DS oggi è un mestieraccio: moltissime incombenze e pochi strumenti. E quel che è peggio, un continuo sovrapporsi di impegni burocratici che obliterano completamente quelli didattici: sarebbe forse il caso di sdoppiare la figura, con un dirigente didattico da una parte ed uno amministrativo dall’altra (una sorta di super DSGA), in modo che ci sia qualcuno a tener d’occhio a tempo pieno la didattica. Anche le modalità di assunzione dei DS dovrebbero essere modificate: con la formula concorsuale, per quanto modificata e arricchita da forme di tirocinio, a diventare DS sono docenti che di dirigenza non hanno mai avuto la benché minima esperienza, e possono non avere le necessarie competenze non solo finanziarie, ma anche di gestione delle risorse umane (motivazione, coinvolgimento, assertività). Meglio sarebbe mandare a fare i DS persone che hanno già dimostrato sul campo, nel middle management per l’appunto, di avere le giuste qualità.

Ecco, ora che le mie idee sparse sono diventate un decalogo posso anche fermarmi. L’importante è che cominciamo ad avere in mano proposte concrete e realizzabili, con cui sfidare un governo che dell’ignoranza e dell’incompetenza ha fatto bandiera orgogliosa.

iMille.org – Direttore Raoul Minetti
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