Diritto UE: interpretazione conforme nella giurisprudenza italiana e francese
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Diritto UE: interpretazione conforme nella giurisprudenza italiana e francese

Diritto UE: interpretazione conforme nella giurisprudenza italiana e francese

di Giulia Lapi.

Enunciato in primo luogo dai giudici di Lussemburgo per la prima volta nel 1974, il principio di interpretazione conforme al diritto dell’Unione europea non ha avuto sempre l’attenzione che meritava da parte dei giudici nazionali, e ciò nonostante il principio sia divenuto un vero e proprio “obbligo” per questi ultimi. Se con la sentenza Von Colson del 1984 è stato imposto alle autorità degli Stati membri di cimentarsi in un’operazione ermeneutica di conformazione ogni qualvolta si presenti un’incompatibilità fra il diritto interno e quello dell’Unione, è solo con la sentenza Dominguez del 2012 che tale obbligo è divenuto prioritario rispetto alla verifica dell’efficacia diretta.

Ma come si sostanzia tale obbligo? Quali sono le conseguenze della sua applicazione?

Nella pratica, esso serve sicuramente alle istituzioni dell’Unione per far sì che le proprie norme vengano rispettate in prima battuta e che le disposizioni di diritto interno ad esse contrarie subiscano una ‘sottomissione’/interpretazione in senso conforme alle prime. È innegabile, tuttavia, che tale strumento sia altrettanto utile ai vari Stati membri, per evitare che il non rispetto delle imposizioni di Bruxelles da parte delle legislazioni nazionali possa configurare un’ipotesi di inadempimento scaturente in un procedimento di infrazione e conseguente sanzione nei confronti dello Stato membro. Ne deriva che, sebbene tale obbligo riconosca implicitamente la superiorità e prevalenza dell’ordinamento dell’Unione (nei rispettivi campi di competenza in cui le sovranità nazionali hanno accettato di compiere un passo indietro), i vantaggi che l’ordinamento nazionale può trarne sono rilevanti e il principale fra questi è la scongiura di un inadempimento. Non a caso, la Corte di giustizia, ha enunciato per le autorità nazionali una sorta di vademecum per i casi di contrasto fra diritto interno e diritto dell’Unione, secondo il quale debba essere verificata prioritariamente la plausibilità di un’interpretazione conforme, e solo subordinatamente l’applicabilità dello strumento dell’efficacia diretta. Questo perché solo il primo di questi due strumenti permette di evitare le conseguenze molto più traumatiche di un inadempimento supra menzionato. Non solo, l’obbligo in questione funge anche da palliativo all’assenza di effetti diretti di disposizioni di diritto dell’UE, ossia all’impossibilità per queste ultime di venire applicate direttamente negli ordinamenti interni, mancando dei requisiti di sufficiente chiarezza, precisione e carattere non condizionato.

Ciò detto, l’utilizzo che ne è stato fatto in Italia e in Francia fino al giorno d’oggi non sempre appare totalmente soddisfacente. Si rilevano casi giurisprudenziali nei quali gli organi giudicanti si sono limitati a ritenere di non poter procedere ad un’interpretazione conforme per via del limite consistente nel divieto di interpretare la norma nazionale in senso contrario al suo tenore letterale. Ora, la Corte di Giustizia ha ampliato l’oggetto dell’obbligo di interpretazione conforme a tutto il “il diritto nazionale complessivamente considerato”, in modo da facilitarne, appunto, la plausibilità. Il che implica, a posteriori, che talvolta, il suddetto limite avrebbe potuto essere superato se solo fossero state prese in considerazione anche altre disposizioni di diritto interno diverse da quelle considerate nei casi di specie. A conti fatti, si tratta di una vera e propria possibilità di “redenzione” concessa (o meglio, imposta) dall’Unione ai vari Stati membri.

iMille.org – Direttore Raoul Minetti
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