Condorcet: un manifesto per ripensare la scuola
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Condorcet: un manifesto per ripensare la scuola

Condorcet: un manifesto per ripensare la scuola

di Francesco Rocchi.

Condorcet [link] è un gruppo di insegnanti, dirigenti ed esperti che hanno a cuore la scuola italiana e non si rassegnano a vederla lasciata ai margini del dibattito pubblico proprio quando è più pressante la necessità di fare di istruzione e formazione i pilastri del futuro dell’Italia.
Per ricominciare a parlare di scuola, e per farlo in maniera concreta, Condorcet ha stilato un manifesto con quattro proposte [link], da leggere e discutere, di cui si può leggere una prima sintesi nell’articolo qui proposto, che prende le mosse dalla riflessione di Maria Paola Iaquinta pubblicata su ilsussidiario.net.

L’articolo di Iaquinta del 14 febbraio [link]  è assai lucido nel chiarire le difficoltà della scuola italiana, spesso ricca di risorse umane ed intellettuali, ma resa inefficiente da un’organizzazione elefantiaca e poco reattiva. Condorcet e il suo manifesto nascono proprio dalla constatazione di quelle difficoltà, cui è urgente oggi far fronte.
La nostra ambizione è di proporre riforme capaci di dare maggiore coordinazione e organicità alla scuola italiana. L’Italia ha bisogno di una scuola democratica ed inclusiva, ma questa non può che reggersi sui solidi pilastri dell’efficienza, della trasparenza e della funzionalità. Una scuola che vuole arrivare a tutti e portare tutti ad un buon livello di istruzione non può sprecare risorse o essere torpida.

Vediamo dunque dove riteniamo che sia necessario intervenire, e cominciamo dalla carriera dei docenti. Al momento la scuola italiana è come un esercito in cui ci siano soltanto generali e soldati semplici, senza niente nel mezzo. Da una parte si sono i dirigenti, costantemente sul punto di affogare nella burocrazia scolastica, dall’altra i docenti, che devono tenere la linea del fronte praticamente da soli, pur essendo il punto di contatto con studenti e famiglie.
La solitudine del docente italiano, in particolare alle superiori, è sconcertante: didattica, valutazione, gestione della disciplina e della classe gli sono rovesciate sul capo con un’assistenza scarsa o nulla da parte dell’amministrazione. Noi proponiamo di intervenire su questo stato di cose introducendo la figura del docente senior, che serve proprio per mettere a sistema un modello in cui gli insegnanti abbiano un punto di riferimento vicino e affidabile, capace di fornire aiuto nella didattica d’aula, ma anche di creare un ambiente di lavoro in cui finalmente si possa davvero fare squadra.

Noi vogliamo creare una scuola in cui gli studenti sappiano di avere a disposizione una rete di professionisti che cooperano per la miglior riuscita possibile della loro istruzione.
Un altro ambito di intervento molto importante è la riforma dei cicli: decenni di interventi parziali (sia pure spesso utili e necessari) hanno creato un Frankenstein che solo la forza dell’abitudine ci può far sembrare accettabile. Oggi abbiamo tre blocchi con forti criticità ad ogni passaggio. Il primo è il salto dalle elementari alle medie in cui, con un cambio radicale nella struttura didattica, i bambini abituati all’interdisciplinarietà delle elementari si ritrovano in una sorta di pre-liceo rigido e pesante. Il secondo è il passaggio dalle medie alle superiori, con tutte le difficoltà di un sistema di orientamento assai fallace. Per di più, il triennio delle medie soffre molto il fatto di essere breve e “di passaggio”: i docenti delle medie si fanno carico di classi assai eterogenee, ma di fatto sono costretti a continuare un lavoro non iniziato da loro e a lasciarlo prima che sia concluso, dopo tre soli tre anni, passando il testimone ai colleghi delle superiori.

E’ bene dunque intervenire anche qui. La scuola dell’obbligo deve essere unificata in un percorso unico dai sei ai sedici anni. Al suo interno si può anche immaginare di strutturare la didattica in due sottocicli che tengano conto dello sviluppo del bambino, ma l’unitarietà didattica ed organizzativa deve essere chiara. In questi dieci anni si lavora sulle conoscenze e sulle competenze fondamentali, in maniera organica, serrata, solida, e senza disperdere l’apprendimento in una congerie di nozioni sulla carta assai estese, ma caratterizzate spesso dalla frammentarietà e dall'”imparaticcio”.
Al termine dell’obbligo si prosegue con tre ulteriori anni di studio in una prospettiva orientata o alla prosecuzione degli studi o ai percorsi professionalizzanti. Questo triennio deve superare la rigidità delle scuole superiori attuali e deve poter permettere ai suoi studenti di scegliere le materie che ritengono più congeniali per il loro percorso futuro.

In una stretta connessione con questa struttura va riconsiderato l’istituto della bocciatura. Nella scuola dell’obbligo, il decennio sopra considerato deve essere considerato la misura di quanto lo Stato offre a tutti i suoi cittadini: è un arco di tempo sufficiente per permettere ad una scuola efficiente di riconoscere i problemi di ogni studente, elaborare una strategia di intervento e farvi fronte. Non ha quindi senso trattenere gli studenti più a lungo bocciandoli.
Nel triennio conclusivo, in cui la specializzazione nelle varie materie impone un percorso progressivo, viene invece abolita la bocciatura totale, in favore della bocciatura per materie: si ripetono solo quelle in cui si è insufficienti. In questo modo si taglia alla radice il nodo che rende così penosi ai docenti gli scrutini di fine anno: le estenuanti contrattazioni sui “voti di consiglio” sono un pessimo servizio che oggi la scuola rende agli studenti e che i professori giustamente tollerano sempre di meno. Il principio è semplice: ogni studente deve uscire dalla scuola superiore con in mano una valutazione realistica di quel che ha imparato, non con un certificato di conformità rabberciato e poco aderente alla realtà, quale è ora il diploma. Non si boccia, ma si mettono voti realistici.

Ci sono infine due ulteriori pilastri cui fare riferimento: l’autonomia scolastica e un rinnovato rapporto con la società. La necessità dell’autonomia è presto spiegata: una scuola non può essere efficace se non può prendere decisioni e gestire le proprie risorse con tempestività. Non si può sperare di combinare qualcosa di buono aspettando circolari e istruzioni ministeriali. I controlli e le ispezioni sono assolutamente necessari, ma a valle. L’attuale farraginosità della scuola italiana non è più ulteriormente tollerabile.
Il rinnovato rapporto con la società, invece, passa per il riconoscimento del legame strutturale tra istruzione e lavoro, oggi ancora troppo debole: la contiguità con il mondo del lavoro e le contaminazioni tra studio e apprendistato non vanno viste negativamente: l’alternanza e altre possibili cooperazioni vanno migliorate e razionalizzate, non rigettate.
La società del futuro va costruita giorno per giorno, con creatività e raziocinio, e il luogo da cui tutto comincia è proprio la scuola.

iMille.org – Direttore Raoul Minetti
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