Crisi in Siria: orientarsi nel caos delle fonti
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Crisi in Siria: orientarsi nel caos delle fonti

Crisi in Siria: orientarsi nel caos delle fonti

di Davide Maria Vavassori.

L’attacco a Douma, in cui è stato molto probabilmente fatto uso di gas nervino e cloro, e il successivo bombardamento organizzato da Trump, Macron e May, hanno risollevato l’attenzione di tutti sul complesso scacchiere siriano. Per chi si fosse interessato alla questione da poco, è importante fare molta attenzione a quello che si legge e a come interpretare le posizioni dei leader in gioco.

A chi credere?

In Siria ognuno ha una versione diversa dei fatti. Riguardo all’attacco alla città di Douma, la Russia e la Siria hanno affermato in un primo momento che non fosse mai avvenuto. Hanno poi rettificato: l’attacco era stato una messinscena dei ribelli per catalizzare l’attenzione su di loro e incolpare Assad di un crimine atroce ma mai avvenuto. (Vi invito a guardare il profilo Twitter dei Caschi Bianchi siriani – falsamente accusati di essere dei terroristi collegati ad Al Qaida per screditarli – e a pensare che tutte le donne e i bambini presenti nelle foto siano attori. Disumano). Infine, quando ispettori dell’Organizzazione Mondiale della Sanità hanno certificato che nel sangue delle vittime erano presenti tracce di un chiaro attacco, i portavoce del governo russo hanno affermato che l’attacco era veramente accaduto ma che era opera dei servizi segreti americani per screditare Assad e creare un casus-belli abbastanza forte per colpire le forze governative (senza portare nessuna prova a sostegno di questa affermazione). Dal canto loro le forze occidentali hanno affermato di avere prove dell’attacco chimico.

Osserviamo però due dati certi. Primo: la città di Douma era sotto attacco da settimane, raid aeri continui da parte delle forze governative di Assad con il sostegno della Russia. La zona aerea sovrastante Douma era ermeticamente controllata dal governo siriano e dalle forze russe, nessun aereo poteva avvicinarsi alla città senza il loro permesso. Secondo: nella giornata di ieri gli ispettori internazionali dell’Organizzazione per la Proibizione delle Armi Chimiche, inviati dalla comunità internazionale per fare chiarezza, sono stati bloccati fuori dalla città di Douma dalle forze russe. Il viceministro degli esteri russo ha detto che non saranno lasciati passare finché non avranno il lasciapassare dell’ONU… ONU bloccato proprio dal veto della Russia nel Consiglio di sicurezza. Non certo un’iniziativa volta a chiarire i fatti.

Cosa aspettarsi dall’ONU? E dalla comunità internazionale?

Come anticipato sopra, il Consiglio di Sicurezza ONU, riunitosi per deliberare una risposta internazionale all’attacco chimico su Douma, è stato bloccato dal veto della Russia. La funzione dell’ONU è stata tanto irrilevante nella questione siriana, quanto incisiva nella questione libica (chi assimila le due sbaglia). In Libia il Consiglio di Sicurezza deliberò per instaurare una No-Fly Zone sopra la Libia, per impedire ai caccia di Gheddafi di bombardare i manifestanti a Tripoli e Bengasi. Quella risoluzione dava di fatto la possibilità all’aviazione della NATO di abbattere gli aerei militari che non avessero rispettato l’imperativo e, in modo spregiudicato, venne usata dalle forze occidentali non solo per colpire le forze di contraerea libiche (cosa che la No-Fly Zone prevedeva) ma anche per bombardare luoghi strategici del governo Gheddafi. Questo abuso influenzò enormemente l’andamento della guerra, tanto che la Russia si infuriò a tal punto da decidere di votare contro la successiva risoluzione di No-Fly Zone sulla successiva crisi siriana. Ciò che paralizza oggi le Nazioni Unite è di fatto il veto russo che vuole impedire un intervento occidentale contro Assad e l’uso che questi fa del monopolio militare verso la popolazione ribelle.

“Basta bombe, vogliamo solo pace!” È davvero così facile? Smettere i bombardamenti fermerà le violenze?

Partiamo dall’assunto che ognuno di noi ha il sacrosanto dovere di chiedere la pace, l’interruzione di ogni violenza, il tacere dei cannoni. Gino Strada, fondatore di Emergency, si fa da sempre portatore di questo messaggio e la sua teoria principale è che se tutti smettessero di usare armi e bombardamenti, in primis gli occidentali, il mondo sarebbe più vicino alla pace. Purtroppo non è così e la complessità siriana ne è prova tangibile. La crisi siriana non nasce per colpa dei bombardamenti occidentali ma per una scelta di campo di una parte della popolazione che, arrivata a un punto limite di soprusi e violenze di stato, ha scelto che preferiva la giustizia alla pace. Che preferiva rinunciare all’ordine e all’equilibrio sociale in nome della ricerca di una società più libera che non torturasse i propri cittadini nel periodo in cui molti altri paesi del Maghreb si scrollavano di dosso dittature decennali. Si è quindi assistito a quello che era successo in Libia: una minoranza al potere, con il monopolio della forza militare e dei mezzi di violenza di stato, ha represso ferocemente ogni iniziativa popolare di richiesta di riforma. A quel punto è intervenuta la comunità internazionale (zoppa del veto russo all’ONU) per instaurare quella che viene sempre più spesso chiamata “responsabilità a proteggere” in cui alcuni stati si prendono la briga di tutelare cittadini di altri paesi, dalle violenze delle forze armate del loro stesso paese (che poi negli anni, soprattutto in Medio Oriente, questo sia stato accompagnato da interessi strategici evidenti non ci deve comunque distrarre dai bisogni umanitari che realmente esistevano).

Ogni uomo ha il diritto di rifiutare la violenza come mezzo, ma far rispettare questo rifiuto umano all’istituzione pubblica (lo Stato) che nasce principalmente per tenere il monopolio controllato di questa violenza (quel contratto hobbesiano per avere sicurezza in cambio di qualcos’altro) non ha davvero senso. Le azioni mirate di USA, UK e Francia hanno avuto lo scopo dichiarato di colpire la possibilità di Assad di usare armi chimiche sulla popolazione e, al netto dell’efficacia dell’azione di per sé, dobbiamo riconoscere che è esattamente una prerogativa dello stato (motivo per cui chiamiamo “terrorista” chiunque non si fregi di tale titolo, a volte pur sbagliando) e solo dello stato, fare una cosa del genere. Se ci aspettiamo che Assad smetta di bombardare la Siria di sua spontanea volontà proprio ora che è così vicino a ridurre al silenzio le ultime sacche ribelli, vuol dire che non abbiamo capito niente. Dobbiamo essere in grado di distinguere la violenza di stato contro i propri cittadini, dagli interventi mirati a distruggere arsenali chimici, è tutto qui. È Tutta la distinzione tra pace e conflitto, tra la ricerca del disordine mirata al potere e quella finalizzata alla giustizia, risiede in questa nostra capacità, oggi messa a durissima prova da fake news e disinformazione mirata alla denigrazione, di capire che no, non tutte le azioni militari sono uguali.

 

 

 

iMille.org – Direttore Raoul Minetti
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