La morte di Diene, i miei studenti e la missione di civilta’ del PD
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La morte di Diene, i miei studenti e la missione di civilta’ del PD

La morte di Diene, i miei studenti e la missione di civilta’ del PD

di Francesco Rocchi.

Il 5 marzo a Firenze moriva assassinato Idy Diene, cittadino e lavoratore. Gli ha sparato un folle fuori di sé, ma viene inevitabilmente da chiedersi se quel mentecatto assassino non si sarebbe comportato diversamente, se avesse avuto di fronte un bianco o un italiano. Idy Diene, infatti, era senegalese e forse chi gli ha sparato ha visto in lui non un lavoratore o un concittadino o un fratello, ma un semplice corpo estraneo.

Idy Diene in ogni caso non viveva a Firenze, ma a Pontedera, una cittadina tra Firenze e Pisa nota soltanto per la Piaggio e per i laboratori del Collegio Sant’Anna. E’ anche la cittadina in cui si trova la scuola superiore in cui io lavoro.

La tragica fine di Idy Diene è stata dunque commemorata qui, a Pontedera, con un una Via Crucis cui hanno partecipato la comunità senegalese, l’Azione Cattolica, le associazioni impegnate nell’integrazione degli stranieri, tanti cittadini e il sindaco Simone Millozzi, del PD.

Pochi giorni prima di questa commemorazione il problema del razzismo era già stato oggetto, in maniera anche abbastanza casuale, di una lunga chiacchierata tra i miei studenti e me. Non ricordo come siamo passati da studiare grammatica a parlare di integrazione e rispetto, ma sta di fatto che ci siamo trovati in una discussione tanto importante quanto difficile.

I miei studenti sono istintivamente razzisti, e non sono affatto un’eccezione.  Il diverso, l’ignoto e il nuovo sono categorie intrinsecamente respingenti per cuccioli di uomo che hanno un istinto territoriale sorprendentemente forte.

Ho raccontato loro di un vecchio esperimento che ho visto illustrato tanti anni fa a Quark: ad un gruppo indistinto di persone erano state fatte indossare magliette verdi o rosse. Queste persone poi erano state fatte entrare in una stanza con due tavoli, uno verde ed uno rosso: tutti si erano seduti a seconda della maglietta che indossavano, creando de facto due gruppi anche se nessuno l’aveva richiesto loro. Un mio studente, che a quattordici anni si dice fascista senza sapere cosa voglia dire, m’ha dichiarato chiaro e tondo: “Deh, e gli è pe’ forza così! Verdi co’ verdi e rossi coi rossi, ‘un è miha strano!”. Ci ha messo qualche secondo a capire che qualche conto “non tornava”.

Un altro ragazzo ha detto che gli albanesi non gli piacciono, senza accorgersi che sono diversi mesi che sta in classe con un albanese e che non ha mai avuto problemi con lui. Io per parte mia ho fatto loro diversi discorsi, non sempre facilissimi: sul tema si scaldano immediatamente. Non si sono comportati male, ma non so dire quanto abbiano veramente colto dei discorsi “antropologici” che gli ho fatto. Nel calderone ho buttato anche i bias cultural/sociali e la questione dell’informazione scandalistica e qualche cosa non scontata ce la siamo detta, forse.

A fine lezione il ragazzo sedicente fascista è venuto a chiedermi cosa pensassi dei senegalesi che avevano tumultuato a Firenze dopo la morte di Diene. Gli ho detto che erano in torto e lui aveva ragione ad arrabbiarsi -e lo penso davvero. Lui è sentito rassicurato su questo e io gli ho detto che la comunità senegalese, costituita da molta più gente di più dei quattro gatti per strada dell’altro giorno, ha fatto una colletta per ripagare i danni. E’ rimasto colpito, e più pronto allora ad accogliere l’idea che ogni persona vada giudicata solo dopo che la si è conosciuta. Poi chissà, quello che facciamo noi è una goccia nel mare.

E’ evidente che la questione dell’integrazione riguarda tutti, ma è importante fare una riflessione anche sul ruolo del PD nel dibattito pubblico. L’accusa al PD o alla sinistra in genere è quella di favorire una sorta di facile terzomondismo “buonista”. Non sono affatto sicuro che il PD sia davvero così, anzi, ma nel dibattito pubblico esso spesso viene rappresentato in questi termini, anche perché qua e là questo bias positivo è pure presente, spesso anche nelle frange a sinistra del PD.

In tanta gente di sinistra con cui mi è capitato di parlare in questi giorni mi è sembrato di notare un atteggiamento apologetico nei confronti del comportamento violento dei senegalesi che hanno divelto le fiorere e vandalizzato una via del centro dopo la morte di Diene (“il clima”, “l’esasperazione”), quasi a fare da istintivo contraltare al razzismo becero della Lega. Gli italiani sono tifosi anche quando si parla di razzismo, ma questo non ci aiuta.

Secondo me lo spazio per un discorso di civiltà c’è, c’è ancora e ci sarà sempre. Bisogna saper ascoltare. Quando la gente chiede “pulizia” in parte è razzista (perché spesso lo è, non nascondiamocelo), in parte se la prende semplicemente con il degrado che si accompagna alla situazione precaria in cui vivono larghe fasce della popolazione immigrata, quella più debole e povera. Degrado che spesso è reale e bisogna affrontarlo con risposte efficaci e pragmatiche.

Quando vivevo a Pisa, in una zona così brutta da finire a Striscia La Notizia, c’era sotto casa mia una sala scommesse fuori dalla quale c’erano soltanto immigrati, spesso ubriachi e fuori controllo. Le proteste quindi erano forti e anche giustificate, ma finivano spesso per investire tutti gli immigrati in quanto tali (anche quelli che là non ci non ci andavano, astemi e non dediti al gioco d’azzardo). E’ molto facile, quasi scontato (purtroppo), che la parte più rumorosa e visibile di una comunità finisca per rappresentarla confusamente tutta quanta. E se la semplificazione da parte dei residenti è assolutamente indebita, è anche vero che alla gente sarà possibile fare capire l’errore solo quando si sarà impedito alla minoranza turbolenta di disturbare ed intimorire.

Il discorso si può estendere anche a situazioni meno estreme. Per chi non ci è abituato, genera inquietudine anche soltanto il fatto di imbattersi in gruppi di stranieri che tra di loro parlano in una lingua incomprensibile o i cui comportamenti non sono inquadrabili in uno schema noto. Io mi sono accorto di questo, ad esempio, sull’autobus. In un ambiente chiuso come un bus le persone rumorose sono fastidiose; ma quando ad essere rumorose sono persone di cui non si riesce nemmeno a capire cosa stiano dicendo, il fastidio diventa paura. Se non si ha la consapevolezza di star cedendo ad un istinto ancestrale, è fin troppo facile andare ancora oltre e passare all’ostilità. E non fa nulla che siano più spesso gli italiani degli stranieri ad essere rumorosi: l’impressione generata dallo straniero incomprensibile è molto più profonda.

Forse siamo mancati nel ragionare su questi aspetti della convivenza con gli immigrati. Oggi non siamo più soltanto chiamati a stigmatizzare e a puntare il dito contro il razzismo, ma anche e soprattutto ad insegnare l’anti-razzismo, riuscendo ad arrivare alla gente anche più retriva e a mostrarle, se necessario con pazienza, che dagli stranieri c’è ben poco da temere, se non i fantasmi.

Il razzismo è un istinto, l’anti-razzismo è civiltà. Col primo si nasce, il secondo si impara. E noi dobbiamo insegnare ovunque ed in ogni occasione l’antirazzismo, senza ipocrisie e senza aver timore di chiedere a tutti di impegnarsi per rendere l’Italia un Paese in cui chiunque può vivere bene. A tutti vuol dire anche agli immigrati, che meritano di essere accolti ma devono avere le stesse accortezze che un ospite usa per la casa e per la persona di chi lo accoglie. Significa anche chieder loro di accettare di farsi conoscere e riconoscere pubblicamente. Può non essere facile, ma di sicuro è necessario.

Si tratta di pedagogia politica di cui solo il PD può farsi carico. Il prima possibile.

 

 

iMille.org – Direttore Raoul Minetti
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